Giochi…

Attenzione, l’argomento di questa volta non sarà quello dei Giochi, che fin troppo sarebbe affine a quello dei balocchi, bensì sarà UN gioco, che ho qui intenzione di proporre. La mia è una sorta di esercitazione retorica e concettuale, in cui ognuno, liberamente, potrà cimentarsi. Essa consiste nel proporre degli argomenti aspettando che qualcuno li raccolga e ne tiri fuori qualcosa. Inoltre, darò una lista di parole che, per i veri arditi del cimento, andranno collegate agli argomenti in maniera coerente e che non stoni con lo stile e la tematica affrontata. Eventualmente, se qualcuno di voi è addirittura tanto cinico, potrà specificare esplicitamente chi voglia che prosegua la tornata del gioco, raccogliendo le proprie parole.

Alla fine di ogni “pezzo”, ogni autore specificherà gli argomenti e le tematiche che chi ha intenzione di scrivere il pezzo successivo deve trattare.

Ora, perché la cosa abbia un proprio fascino, l’idea fondamentale è che i post, in sequenza, debbano formare un racconto, essendo parte di un unica macrostruttura coerente. Quindi, se io scrivo di Pippo Franco, è molto probabile che il nostro racconto dovrà avere lui come protagonista, e le successive lacrime amare saranno solo vostre.

Inutile dire che non voglio sottrarmi a questo gioco, quindi, una volta che gli altri avranno scritto, l’ultimo giorno dell’argomento sarò io a prendere gli ultimi argomenti e a completare la mia parte di racconto, diventando parte del cimento.

Bene allora, sbizzarritevi!

Argomenti:

I pirati

La libertà

Le maledizioni

Per veri arditi – Parole e digressioni:

Candelabro

Cinabro

Libeccio

Piemonte

Mastodonte

Per eroi finali:

Scegliete tra le due possibilità:

a) scrivere tutto il proprio pezzo senza mai usare la lettera “e” (un classico)

b) scrivere tutto il proprio pezzo come un unico periodo (se è troppo corto non vale!)

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Maschere Makonde: forse è più interessante del Bunga-Bunga !

Una antica leggenda racconta di un uomo che viveva vicino ad un fiume, il fiume Rovuma, al confine tra la Tanzania ed il Mozambico, che un giorno scolpì una figura di donna in un tronco di albero. All’alba del giorno successivo, la scultura prese vita. La donna che nacque diede origine alla etnia dei Makonde. Questo popolo ha una grande, forte e radicata tradizione scultorea che si presenta sotto due forme: le statuette e le maschere. Ogni forma e tipologia di maschera veniva associata ad un evento diverso: reminiscenze di lotte ancestrali, riti di iniziazione e propiziazione alla fertilità. Colui che danzava, indossando la maschera diveniva il veicolo corporeo dello spirito evocato, e intoccabile in quanto tramite della sacralità del rito. Gli uomini, soli a poter danzare, si mascheravano anche indossando abiti particolari che ne evitavano il riconoscimento. Sia maschere elmo, sia maschere facciali vengono prodotte tra i Makonde della Tanzania e del Mozambico. Le maschere facciali,  dal nostro immaginario, e dalla nostra percezione, possono essere sia antropomorfe che zoomorfe. Le maschere Mapico, dalla omonima danza, venivano prodotte in locali segreti, e venivano cedute ai danzatori per il solo tempo necessario alla cerimonia. Questi elmi, quattro o cinque per villaggio, venivano bruciati dopo tre anni, nonostante la elaborata lavorazione. Difatti, queste maschere potevano rappresentare uomi e donne, indiani, europei ed arabi. Gli occhi, delle sottili fessure, le labbra pronunciate, le orecchie spesso più basse rispetto alla posizione reale. Ciò che le caratterizza, è in genere l’effetto caricaturale che serve ad enfatizzare ciò che si vuole rappresentare.

I riti che immaginiamo accompagnati da orchestre di tamburi, venivano preclusi a bambini ed anziani. Alle donne veniva concesso di partecipare ad alcuni dei riti asisstendo col busto piegato a terra osservando dal basso. Ora, prescindendo dall’entità di violenza, o cruenza di alcuni riti, è da osservare il particolare attacamento alla sacralità della vita, e dei suoi doni, che sono anche essi celebrati in gesti e riti particolari.

La vita che abbiamo e che possiamo donare è sacra, e dovremmo rispettarla, e ringraziare tutto ciò di cui disponiamo umilmente. Dovremmo secondo me, essere più sinceri con noi stessi, per aprirci poi al confronto con gli altri. Che siano maschere reali o fittizie, indossate ogni giorno o in occasioni particolari, sarebbe bene che chi indossa non si lasci impossessare dallo spirito che viene rappresentato, affinchè possa mostrare la sua vera natura.  E quando ci facciamo dilettanti analisti del mondo intorno a noi vediamo che ogni realtà è celata dietro un’altra realtà, un po’ meno concreta. Il mio vuole essere, un invito, concludendo queste due settimane, alla riflessione e alla apertura sincera di noi. Ringrazio coloro che hanno postato, e chi posterà, se lo farà retrodatando, sperando l’argomento vi sia piaciuto!

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Io l'ho visto.

E’ posso dirvi che è davvero spettacolare. La storia non ha alcun senso, Luigi non ha i baffi, il cattivo si chiama Koopa, i suoi sgherri Goomba (ma non sono funghi), le citazioni sono svariate ma totalmente fuori luogo (quando non sbagliate), l’ambientazione è molto più che inverosimile. Un capolavoro.

http://www.youtube.com/v/wtMZKYnLg5c&feature

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Ma le maschere più forti sono quelle che ci nascondono da noi stessi

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[Intro: Trovale tutte! Comunque cercherò di rendere meno tedioso possibile questo mio post; nel caso non ci riuscissi, prendete allora questa mia introduzione come una maschera]

INETTITUDINE?


È nato. L’uomo nasce e si consuma. Inizia la sua vita privo di qualsiasi illusione, perché percepisce solamente il mondo attorno a lui e tanto gli basta, né si può dire che potrebbe non bastargli. Alla nascita due sono i grandi traumi: il mondo e l’io, entrambi assolutamente sconoscuti al neonato. Infatti sarà del terzo grande trauma che parlerò, del sogno destinato a crescere in dimensione pari alla sua consapevolezza degli altri due traumi: la scoperta (o, se vogliamo, nei primi stadi, la percezione) del rapporto dell’io col mondo. È l’inizio (link al post) e già il mondo si impone sul nato e lo fa suo costringendolo a conoscere e ad assimilare, imponendogli la propria verità.

CONOSCENZA?

Si inizia con l’essere uguali a tutti, senza maschera alcuna, poi, lentamente, sul trasparente viso del giovane vengonno calate tante e tante maschere le quali, forse per il bisogno di dare un senso al mondo ed ancora di più a se stesso, chiamiamo personalità e carattere: parole che indicano sempre attori, maschere. Il vero scopo della maschera è, dunque, quello di creare un’identità, vuoi perché ci muove l’irrinunciabile inerzia, vuoi perché non siamo contenti, vuoi perché l’identità vera e propria non esiste.
Quando allora, dopo una certa età, il nostro piccolo amico che stiamo seguendo fin dalla nascita acquisisce il “sentire del sentire”, la consapevolezza, è portato a calarsi sul volto la prima maschera, che lo proteggerà dallo sfumare dell’uguale e che, allo stesso tempo, non gli consentirà di trovare riposo.

IO?

Ma intervistiamo il nostro giovane amico, dato che di lui stiamo parlando!

NULLA^^

– Nell’esordire in questa corrispondenza tra il mio e l’altrui parere sarebbe per me cagione di sommo gaudio il poter esprimere con tutta la giusta retorica le mie ragioni, poiché qualcuno, un tempo, disse “πάντων χρημάτων μέτρον” ἄνθρωπον εἶναι, ed in ugual guisa vorre’ io dar piglio al [parte rimossa (N.d.R.)].

CULTURA?

Mi pare tuttavia parimenti giusto ed assennato e vero (cfr Thomas Aquinas, Summa theologiae Iª q. 14 a. 9 arg. 1) l’omettere in parte o totalmente le disquisizioni meramente formali (benché quanto mai fornite del massimo supporto semantico e di senso), perché non vorrei apparire altero e perché, dopo tutto, “a posse ad esse non valet consequentia”.
Valete omnes.

MODESTIA?

Esisto ed è innegabile ed, anzi, sono assolutamente pronto a dire che della mia esistenza sono certo, non altrettanto di quella del mondo. IO percepisco il mondo, sempre io, dunque esisto.

ESISTENZA?

Adesso, invece che parlare di me, vi parlerò con tutta sincerità di ciò che più mi preme: gli altri ed il mio rapporto con essi. Vorrei però solamente spendere giusto due parole su questo mio essere sincero, comunque in accordo con quanto dobbiamo trattare. Dico semplicemente che la sincerità è la base fondante di qualunque rapporto, che il falso è male (e chi potrebbe negarlo?), che ve lo confesso perché lo credo veramente e non certo perché così sono stato educato o così voglio apparire agli altri. Ci mancherebbe.

ONESTÀ?

Tornando quindi al discorso principale, in effetti, essendo io consapevole del fatto che gli altri sono più e più veri di me, sarà proprio di loro che parlerò e non d’altro. Questo è un semplice modo per non influenzare un’osservazione puramente scientifica con dati irrilevanti e di alcun interesse. Mi si perdoni, anzi, se vi tedio ancora con questi dettagli.

INTELLIGENZA?

Gli altri, l’unica presenza di questo mondo ad essere diversi da noi. L’unica presenza di questo mondo. È forse anche per questo che ho dedicato la mia vita agli altri, prescindendo sempre dal mio interesse e dalle mie voglie, dalle mie volontà. Così ho combattuto per la loro volontà e per loro sono nato (o mi hanno fatto nascere). D’altra parte se pensassi a me sicuramente trascurerei gli altri ed in tale modo essi stessi trascurerebbero me, facendomi del male. Questo sentimento spassionato ed incondizionato è ciò che sento, che sono sicuro di sentire, che voglio sentire. Nonostante gli altri.

ALTRUISMO?

Sicuramente, però, non sono uno sprovveduto e so bene che tra di loro sono presenti gli ingrati e gli irriconoscenti, al cielo e alla terra. Gente che, per esempio, non crede nella libertà, nella vita, nei valori di un tempo, che sono anche i miei valori, per fortuna. Possono questi altri ritenersi degni del nostro rispetto? Non ne sono del tutto sicuro.

CIVILTÀ?

A questo punto il fatto che nel “mondo fuori di me” ci sia una tale coerenza nel caos e che in me ci sia un tale caos nella coerenza mi spinge, così come mi spinse allora, a non entrare nel dettaglio delle cose. Questo fu l’ottimo modo con cui riuscii a conciliare, lo dico candidamente, i valori giusti e quelli sbagliati che albergavano in me e negli altri, senza che nessuno ne risentisse. Tutto, al di fuori di me, è assolutamente uguale: uguale nel bene e nel male, tutto normale ed ovvio, tutto uguale e pleonastico. Questo è sicuramente di grande aiuto (nonché una grande verità).

INDIFFERENZA?

Ed io? Io perché sono diverso? Diverso dagli altri, intendo. Facile! Io non ho un mio carattere, una mia personaiità, faccio quello che mi si dice di fare e non ho colpe, se non la mia (e perché non globale?) irrinunciabile inerzia. Io indosso una maschera! –

MASCHERA?

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Leoncavallo- "I pagliacci": "Ridi,pagliaccio"

http://www.youtube.com/v/CfpGN6qtCrA?fs=1&hl=it_IT

Vesti la giubba,
la faccia infarina,
la gente paga e rider vuole qua
e se Arlecchin
s’invola Colombina,
ridi pagliaccio
e ognun t’applauudirà.
Tramuta in lazzi lo spasmo e il pianto,
in una smorfia il singhiozzo e il dolor,
ridi pagliaccio
sul tuo amor infranto,
ridi per quel che t’avvelena il cor!

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Maschere: ovvero come infilare nello stesso post l'Uomo Ragno, Pulcinella e i Daft Punk.

Premessa: ci sono tante cose interessanti da dire sulle maschere, il che, a dispetto di quanto possa sembrare, costituisce un problema, visto che alcune di esse sono un po’ scontate. Però, per rispetto di tutti i soldi che ho buttato in fumetti di gente con le maschere, ho il dovere morale di scrivere qualcosa, banale o scontato che sia. Quindi, per cominciare; bè, usi pratici di una maschera: ce ne sono tantissimi(fare il fesso a carnevale, il supereroe o il pervertito sessuale, essere seppelliti con gli onori di un re miceneo, ecc.), ma molti di essi, la maggior parte direi, si possono facilmente ricondurre all’utilizzo più intuitivo e banale di una maschera, ovvero nascondere la propria identità, non essere riconosciuti.

Giusto? Sì, ma non esauriente. Qualche esempio: i Daft Punk e gli Slipknot hanno bisogno di nascondere la propria identità?  E Pulcinella e Arlecchino? Dubito che si mascherino per tema di rappresaglie da parte di fan delusi, o da parte di altri burattini vendicativi. Che Pulcinella, poi, neanche ce l’ha un’identità da nascondere, sempre con quella maschera addosso. Ma in effetti sta cosa dell’identità da nascondere, in termini più nerd “identità segreta”, è un po’ farlocca: prendiamo, qualche supereroe random, Zorro e l’Uomo Ragno, và; c’hanno bisogno dell’identità segreta? “Certo, altrimenti la famiglia  De la Vega subirebbe l’ira del governatore spagnolo, e cosa direbbe mai la povera zia May se sapesse che suo nipote è quell’orribile Uomo Ragno?” Sì, vabè, si tratta anche di questo, di un minimo di coerenza interna al racconto (chiamiamola ““realismo””, con molte virgolette), ma in realtà, diciamocelo, non gliene frega nulla a nessuno. Pensiamo a quel marcantonio volante di Superman, ad esempio, che se ne va in giro da 75 anni con il ricciolino sulla fronte e senza occhiali, e nessuno lo riconosce, manco quella che se lo scopa. E infatti, direte voi, miei perspicaci amici, Superman riesce ad essere irrealistico persino in un mondo in cui diamo per assodato possa esistere un alieno volante e dal cuore d’oro. Vero, però la gente se lo compra, e si va a vedere i film, eccetera. Segno che, la suddetta gente, oltre a non capire nulla di fumetti, in  generale se ne sbatte che il personaggio abbia l’identità segreta per proteggere la famiglia e stronzate così; dico, ci fidiamo di Don Diego, siamo sicuri che, anche se tutti sapessero che lui è Zorro(che poi, anche lì, il baffetto è inconfondibile..), in qualche maniera se la caverebbe, e la zia May potrebbe anche accettare il fatto che il nipote è un ometto, e può decidere se girare di notte per i vicoli con una calzamaglia attilata. Quello che importa a chi è affascinato da personaggi buffamente mascherati, non è il fatto che le maschere nascondano l’identità dei personaggi, ma che la annullino, che le assorbano. Non ci importa nulla che ci siano Don Diego, Bruce Wayne o Pino Mauro, ci importa del simbolo che la maschera è diventata, e di cosa rappresenta, che sia lo spirito di ribellione degli zotici losangelini, lo spirito americano, o quello napoletano, o la presunta futuristicità della musica elettronica(ricordate i Daft Punk?). Tanto che se il povero Don Diego passasse a miglior vita, qualcuno potrebbe sostituirlo, chessò, Bernardo(!) e per noi non cambierebbe nulla, Zorro rimarrebbe quello che, quello che rappresenta. Infatti è quello che succede a un sacco di personaggi dei fumetti, tipo Capitan America o Robin(di Batman&Robin): gli uomini dietro la maschera muoiono, ma quello che essa rappresenta, ovvero la supponenza americana in un caso, e la gioia di combattere il crimine in calzonicini corti, l’altro. L’esempio perfetto è questo personaggio, Phantom (tradotto durante il Ventennio nel più’ maschio e romano “Uomo Mascherato”, il che, per quanto sia orrendo, da al personaggio il diritto sacrosanto di essere nominato in questo post) che gira con una maschera(dai!) anche se sostanzialmente vive con una tribù del centro Africa sconosciuta al mondo, (lui ovviamente è bianco) e combatte contro i pirati, senza avere una vita “in borghese” o cose simili, tipo Pulcinella, insomma. Perché la maschera, allora? La maschera è il suo potere: si tramanda di padre in figlio da millemila secoli, al punto che la gente del luogo, arboricoli sempliciotti, e i criminali, notoriamente sciocchi e superstiziosi(lo dice anche Batman nell’atto di scegliere di vestirsi da topo volante per il resto della vita!), credono che Phantom sia una specie di demone immortale, e questa fama inquietante costituisce la sua più grande arma. Tutta i membri della stirpe smettono di essere umani, immolandosi alla maschera del fantasma, un simbolo, un totem, che assorbe le loro vite e le identità loro e dei loro figli.

Quindi, bambini, al prossimo carnevale, pensate che non importa tanto chi siete, ma la maschera che indossate. Dietro la maschera le facce cambiano, ma la scorza rimane la stessa, ed è quella che la gente ricorda. E se questo vuol dire che vi ricorderanno come Pulcinella o Batman a vita..cazzi vostri.

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Questo è…?

Sono stato fortemente indeciso su dove metterlo, ma credo che Squallore sia il luogo giusto. Non riesco nemmeno a capire se è quello vero o no :°D

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Hello world!

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Momento di elevazione

Il commento è mio, la poesia è, credo, di un allievo che non conosco. Mi sento una persona migliore dopo averla letta.

Lungo la via Aurelia                                                                                                                                                             Sanremo, 30 marzo 2005
(Tra Ospedaletti e Bordighera)

Gli alberi,
sulla vetta del monte,
dialogano
con le nuvole
in un paradiso
che a me
è precluso

Dal momento in cui la si legge, anche solo di sfuggita, non si può dubitare dell’estrema modernità di quest’opera. Nulla della sua forma è lasciato al caso, il significante assume un ruolo centrale che permette al lettore di comprendere al meglio il significato. La mia impressione è che il componimento sia costituito di versi così brevi perché il fruitore possa, anzi debba, leggerli singolarmente, assumendo a piccoli passi il messaggio della poesia, obbligato com’è a riflettere su ogni parola e sul suo perché.

Percorriamo dunque il cammino che il poeta ha tracciato per noi.

Gli alberi. Così isolata sulla pagina bianca la parola alberi ci porta a pensare a una poesia naturalistica, ad atmosfere dionisiache, nelle quali un Bardo, un Aedo, superiore a noi per studio e per natura, mosso da somma generosità, ci accompagna paziente, iniziandoci a segreti che non potremo e non potremmo mai possedere del tutto perché noi, porci così occupati a mangiar ghiande e rotolarci nel fango, non siamo tutt’uno con la Natura, siamo distanti dalla sua divinità, possiamo assaporarne la bellezza e la perfezione solo per brevi istanti, solo se aiutati dal Genio altrui.

Subito dopo scopriamo che gli alberi si trovano “sulla vetta del monte”, e questo istilla in noi il dubbio: questo elemento non è puramente descrittivo del paesaggio, perché altrimenti non sarebbe messo in risalto fra due virgole, allora qual è il significato che dobbiamo trarre da questo messaggio? La vetta è per sua natura lontana, solitaria, difficilmente raggiungibile; il Maestro ha dunque deciso di lasciarci al limitare del bosco, lontano dalla conoscenza, perché è stanco di essere circondato da individui non degni di lui? Ci sta dicendo,disgustato dall’idiozia che gli sta intorno, di star lontani da lui, dal regno in cui solo pochi eletti possono entrare? O forse, forse, possiamo permetterci il lusso di un dubbio all’apparenza feroce e maligno, ovvero: che la vetta sia lontana dal poeta stesso? Questo cambierebbe tutto!

Ecco un passaggio davvero fondamentale. Gli alberi dialogano! Essi hanno riconosciuto qualcuno o qualcosa come loro pari, degno di ricevere insegnamenti ma anche di impartirne. Come abbiamo potuto dubitare del genio del Poeta? La vetta è tale solo per noi. Al lettore non resta che chinare la testa con espressione contrita, versando lacrime colme di vergogna e risentimento, unici sentimenti dei quali è all’altezza.

E’ con le nuvole che gli alberi dialogano, e il lettore sprofonda nell’angoscia. Cosa significa questo, egli si chiede? Perché le nuvole, della vetta ancor più lontane e irraggiungibili? Perché l’autore vuol costruire ancor più solide mura fra noi, maiali, e Lui, il Genio? Perché tanta crudeltà, schiantata fragorosamente davanti ai nostri occhi ancor rossi dal pianto? La vista della nostra miseria ti è così insopportabile, sommo, che godi nel vederci disperati? Lo meritiamo, ma ti imploriamo di usare clemenza!

In un paradiso! Questo crescendo ci è insopportabile! “Basta, smettila!” urliamo all’unisono! Non è colpa nostra questo fango, non è merito tuo quella luce! Tu, poeta, ti permetti l’arroganza di guardare il sole con le palpebre ben spalancate, stai osando la conquista dell’Empireo, mosso dall’impetuoso furore di cui ti senti pervaso non ti accontenti della vetta del monte, della tua condizione di Orfeo capace di far danzare piante e rocce, di ammansire le belve, no! Ti odiamo, perché non lo stai facendo per noi! Per te stesso ora hai abbracciato il culto di dei luminosi, e stai per toccare con mano l’assoluto!

Il “me” si impone presuntuoso sulla scena, e ci obbliga alla sua ingombrante presenza!
A te cosa?!? Vuoi narrarci del nettare e della fragrante ambrosia che Ebe versa direttamente nella tua tracotante bocca? Accomodati!

No –diciamo tutti sommessamente- non ci credo. Vedo il fango scivolare via dal mio corpo, il suo fetore si perde nell’oblio. Siamo uomini adesso!
Altri hanno ignorato il sudore della fronte e la dignità della fatica, l’umanità è stata rappresentata con tinte cupe, sozza e lercia, agli angoli del quadro, mentre Eroi, Poeti, Indovini e Saggi , in grandi piazze o sulle prue delle navi, affermavano la loro superiorità. Ma tu no, poeta, tu preferisci abbandonare la vuota maestà di troppi tuoi predecessori, vuoi urlare al mondo che gli uomini son tutti uguali.

I punti sospensivi sono il cardine dell’opera. Ci si aspettava di trovarli, dopo questa manifestazione di umiltà. Comprendiamo che non siamo umili per la nostra incapacità di raggiungere le nuvole, ma perché tentavamo l’impresa sbagliata. Capiamo quel che stai facendo ora.

Sconfitto dall’altezza della vetta e dalla distanza del cielo, comprendi la verità e il tuo sbaglio. Volti le spalle alla luce divina, e così facendo vedi il tuo prossimo. Lì è la gloria, la Gloria dell’Uomo.

Porgi  la mano a chi tentava la scalata subito dietro di te, e gli riveli che il verbo non è presso dio, che il paradiso era in terra e che lì si deve ricostruire.

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